SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II PENALE

Sentenza 28 giugno – 8 settembre 2011, n. 33331

(Presidente Pagano – Relatore Fiandese)

Svolgimento del processo

 

Il Tribunale di Nicosia, con sentenza in data 5 novembre 2009, dichiarava A. A. colpevole del delitto di usura aggravata, perché - secondo il capo di imputazione - si faceva promettere da M. A., in corrispettivo di una prestazione di denaro di lire 45.000.000 pari ad euro 23.240, nel gennaio 2001 interessi usurari nella misura del 31,14%, alla fine del 2001 interessi usurari nella misura del 26%, tra l'ottobre :2007 ed il gennaio 2008 interessi usurari in misura compresa tra il 24,23% ed il 26,61%, con l'aggravante di aver commesso il reato in danno di un imprenditore.

Il Tribunale perveniva al giudizio di responsabilità sulla base delle dichiarazioni della persona offesa e degli altri testi escussi, della documentazione acquisita anche a seguito di perquisizione, e tenuto conto delle risultanze della consulenza tecnica del P.M.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il ricorrente rileva che i giudici di merito hanno ritenuto che l'ultima convenzione usuraria fu stipulata in data 3 gennaio 2004 e nessun pagamento di somme vi era stato dopo quella data, così che la comunicazione da parte dell'A. al M., nel gennaio 2008, che la somma dovuta era di 180.000 euro e la richiesta di pagare la somma scontata di 130.000 euro non assumono alcuna rilevanza penale. Erroneamente, pertanto, il consulente tecnico si era basato su somme meramente comunicate o semplicemente richieste.

2) mancanza di motivazione o motivazione apparente.

Il ricorrente afferma che la sentenza impugnata ha rigettato con motivazione apparente e di stile i motivi di appello con i quali si denunciava l'erroneo apprezzamento delle prove testimoniali e documentali, per l'inattendibilità della deposizione del teste parte civile, e per le contraddizioni ed antinomie delle deposizioni dei figli della persona offesa.

3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, violazione e falsa applicazione dell'art. 644 c.p.

La censura difensiva si basa sulla considerazione che la mera unilaterale comunicazione di somme asseritamente dovute o anche la semplice unilaterale richiesta non è condotta di per sé sussumibile nel paradigma criminoso dell'usura, in mancanza di convergenza, assenso, promessa di pagamento o assunzione di obbligazione da parte del M. Pertanto, il segmento finale della contestazione «tra l'ottobre 2007 ed il gennaio 2008 interessi usurari in misura compresa tra il 24,23% ed il 26,61%» non sarebbe sorretto da alcuna pattuizione usuraria e non sarebbe configurabile alcun reato.

4) inosservanza ed erronea applicazione di norme giuridiche civilistiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, violazione e falsa applicazione dell'art. 1283 c.c.

I giudici di merito avrebbero errato nel ritenere sussistente il delitto di usura disattendo il rilievo mosso dall'appellante circa la legittimità della capitalizzazione annuale degli interessi operata con la scrittura del 4 gennaio 2001, poiché tale capitalizzazione sarebbe legittima.

5) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, violazione e falsa applicazione degli art 644 e 157 c.p., 531 c.p.p.

Il ricorrente osserva che il Tribunale ha correttamente ritenuto, tenuto conto della data dell'ultimo reato commesso (3 gennaio 2004) di dover applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole previgente alla legge 5 dicembre 2005 n. 251, che ha aumentato la pena per il reato di cui all'art. 644 c.p. Ad avviso del ricorrente è, invece, erroneo fissare la decorrenza del termine prescrizionale alla data del 3 gennaio 2004, poiché la scrittura redatta a tale data non potrebbe valere a tenere in stato di consumazione prolungata il reato, in quanto con essa venne pattuita la promessa di pagamento della somma di euro 12.210, pari al 20% della sorte capitale originaria al 2001 più gli interessi del 20% sulla somma di euro 10.174,2 (portata dalla scrittura del 4 gennaio 2003), che, in quanto interessi non pagati, sono stati all'anno legittimamente capitalizzati. Pertanto, l'ultimo pagamento di interessi asseritamente usurari sarebbe avvenuto coevamente alla scrittura del 4 gennaio 2001.

6) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme giuridiche civilistiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, esclusione dell'aggravante di cui all'art. 644, comma 5, n. 4 c.p.

Il ricorrente afferma che la persona offesa al momento del fatto reato non svolgeva attività di artigiano, avendo egli affittato l'azienda e non potendosi assimilare la posizione del soggetto che affitta l'azienda a quello che la gestisce. La qualità di imprenditore viene riacquistata dalla persona offesa solo nel 2005, quando viene fondata una società tra M.A. e il figlio G.. Il riferimento da parte della sentenza impugnata al momento genetico del rapporto obbligatorio confonderebbe quel momento, risalente agli anni 1992/1998 con il momento iniziale della pattuizione asseritamente usuraria fissata al gennaio del 2001.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nella parte in cui denuncia contraddittorietà della motivazione.

Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Suprema Corte, con riferimento alla consumazione del reato di usura, ha fissato i seguenti principi: il reato di usura si configura come reato a schema duplice, e quindi, si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria(Sez. F, Sentenza n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 2:48142); il reato di usura rientra nel novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile dell’illecita pattuizione (Sez. 2, n. 33871 del 02/07/2010, Dodi, Rv. 24813.2); il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie destinate strutturalmente l'una ad assorbire l'altra con l'esecuzione della pattuizione usuraria - aventi in comune l'induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l'una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l'altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato. Ne consegue che nella prima il verificarsi dell'evento lesivo del patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all'eventuale rateizzazione del debito, bensi ad elemento costitutivo dell'illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell'obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell'obbligazione rimasta inadempiuta. Ne deriva, in tema di prescrizione, che il relativo termine decorre dalla data in cui si è verificato l'ultimo pagamento degli interessi usurari. (Sez. 2, n. 3881:2 del 01/10/2008, Barreca, Rv. 2414521; in tema di usura, quando tra le stesse persone le dazioni di denaro successive alla scadenza delle precedenti non costituiscono l’esecuzione della iniziale promessa, ma del rinnovo del patto usurario con la rifissazione del capitale in diverso importo e dei conseguenti interessi, trattandosi della conclusione di patti successivi, anche se occasionalmente promananti dalla scadenza dei precedenti, si è in presenza di un reato continuato di usura (Sez. 6, n. 1601 del 27/04/1998, Leoni, Rv. 213410; Sez. 2, n. 5633 del 18/02/1988, Mascioli, Rv. 178350).

Orbene, a differenza di quanto indicato nel capo di imputazione, che fa riferimento alla pattuizione di interessi usurari tra l'ottobre 2007 e il gennaio 2008, la sentenza impugnata, quando esamina la eccezione difensiva di intervenuta prescrizione, individua il dies a quonella data del 3 gennaio 2004 «dal momento che a tale data risale, appunto, la pattuizione ultima, nella forma del rinnovo o riconferma, degli interessi dovuti - già concordati a monte, ovvero accettati dal debitore, in una misura approssimativa pari al 20%». Cosi fissata la data ultima di consumazione del reato, appare contraddittoria la parte della motivazione, che, invece, fa riferimento ad un rapporto di dare avere fra l'imputato e la parte offesa M. A. che si è snodato lungo un complesso arco temporale fino alla data del gennaio 2008, quando è avvenuta l'ultima richiesta di restituzione del prestito da parte dell’imputato, e su tale richiesta la stessa sentenza si basa (seguendo il criterio adottato dal consulente) per determinare la usurari età del tasso praticato. La richiesta ultima dell'imputato può certo essere un elemento logico di determinazione del tasso applicato in origine, ma non consente di prescindere da una valutazione delle pattuizioni usurarie, secondo la loro scansione temporale come indicato nello stesso contesto motivazionale (2001 -2003 -2004), al fine di chiarire se, quando e con quali modalità siano stati pattuiti interessi usurari. A tal fine, peraltro,non può accogliersi la tesi difensiva sulla legittimità della capitalizzazione annuale degli interessi operata con la scrittura del 4 gennaio 2011, sia perché la giurisprudenza civile considera l'art. 1283 cod. civ. ostativo alla previsione negoziale di capitalizzazione annuale degli interessi (Sez. U, n. 24418 del 02/12/2010, Rv. 615490) sia soprattutto perché non può certo consentirsi la capitalizzazione di interessi usurari, che, in quanto illeciti, renderebbero nulla qualsiasi pattuizione di capitalizzazione, dalla quale, anzi, potrebbe emergere proprio la usurarietà del tasso applicato. Per le stesse considerazioni, non può accogliersi la censura difensiva in merito alla decorrenza del termine prescrizionale, che parte dall'erroneo presupposto della legittimità della pattuizione del 3 gennaio 2004, che conterrebbe una capitalizzazione degli interessi.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta, che farà applicazione dei principi di diritto come sopra formulati, applicandoli con argomentazioni logiche e coerenti. Gli altri motivi di ricorso, in quanto dipendenti da quello accolto, devono ritenersi assorbiti.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta.